6’ Freestyler.it Snowcamp personal report by Nico– Freeeride thrills, alpine skills.

Anche questa volta mi è andata bene…
Entro ad un tratto sparato in bosco, la neve fresca è bellissima e abbondante, la sensazione stupenda e mi esce persino una frase da esaltato: “E’ stupendo, io non so dove va a finire ma vado lo stesso”. Infatti.

Per fortuna Skunk mi segue, sennò forse non ero qui a raccontare.

Per molti minuti facciamo del riding davvero esaltante fra gli alberi, stupendo, la neve e soffice ed impalpabile, il freddo la mantiene perfetta e ce ne è anche abbastanza, siamo entusiasti, c’è poco da fare, due reduci dal Canada come noi hanno gusti difficili e cercano sempre la neve impalpabile e le emozioni di un riding veloce dove non puoi sbagliare, ma dove dietro ogni albero si nasconde un altro tratto stupendo di powder… O talvolta anche un pericolo…

Alla fine ci troviamo sopra una stradina che attraversa in leggera discesa da sinistra a destra, tagliando il pendio, mi pare di ricordarla da un precedente camp, ma forse è solo simile ad un’altra, poi non è battuta, per cui dico meglio proseguire dritti verso valle. Continuiamo ancora e quando temiamo di ficcarci in un pianoro, invece ci accorgiamo di aver imboccato un ripido torrente in una valle a “V” stretta e con le pareti ripide; ci sono un sacco di arbusti che ci sbarrano la strada, ci vorrebbe il machete…

Poi ad un certo punto mi impianto frontalmente nel pendio, la bassa punta da bx del Torque non aiuta nella fresca, e siccome sento la tavola bloccata, ho la bella idea di ruotare e buttarmi all’indietro verso valle per togliermi d’impaccio. La tavola però resta inchiodata come fosse parte della montagna e io mi trovo appeso a testa in giù, su una pendenza di oltre 45 gradi, oltretutto con un attacco visibile ma l’altro quello anteriore, sepolto profondamente nella neve. Faccio alcuni tentativi di raggiungere i cricchetti per mollarmi, ma già è difficile arrivare in quella posizione a quelli dell’attacco dietro, figuriamoci scavare in alto tirandosì sù dalla posizione a testa in giù per liberare l’altro piede… Skunk-Alessandro fortunatamente è ancora più su per il pendio, risalire non sarebbe stato facile, ma nonostante questo per arrivare a me ci impiega lunghi interminabili minuti. Ed intanto mi accorgo che ogni movimento che faccio per tentare di liberarmi faccio scivolare via la neve da sotto di me e resto sempre più appeso, le gambe mi tirano moltissimo.

Mi rendo conto di essere in una situazione in cui avrei dovuto restare lì ad aspettare i soccorsi, a patto che il telefonino prendesse e che sapessi pure indicargli dove sono… e abbastanza velocemente perché sono a testa in giù e la temperatura è di diversi gradi sottozero.

Arrivato da me, Skunk ci impiega un bel po’ a scavare per liberarmi. Quando sono libero devo sfilare la tavola verso l’alto e con fatica da una vera forcella a trappola.

Decidiamo di scendere a piedi, seguiamo le tracce di un capriolo che saliva, ce ne sono diverse e mi è pure balenato un timore, cioè se questo come sembra è un sentiero abituale dei caprioli e i bracconieri sapendolo hanno sistemato qualche tagliola prima che nevicasse…

Arriviamo su una stradina forestale che taglia il torrente ed il pendio trasversalmente, per coincidenza sta passando uno scialpinista, lo fermiamo e gli chiediamo dove andare. A questo punto o è impreciso è in malafede, non lo sapremo mai, sta di fatto che ci dice che a destra la stradina va in discesa ed arriva alla strada asfaltata, a sinistra sale per un chilometro e arriva in pista. Sono le tre e mezza, diciamo vabbè un chilometro su una stradina semi battuta cosa vuoi che sia e saliamo.

Bene, camminiamo per oltre un’ora e tre quarti, quando arriviamo in cima dopo quattro tornanti e probabilmente almeno 5 chilometri è notte, gli impianti sono chiusi e oltretutto siamo in cima a Folgarida e noi abbiamo la macchina a Marilleva 1400. Scendiamo nel buio quasi totale, aiutati un po’dalla luce di una motoslitta che arriva da dietro, poi grazie al passaggio di un maestro di sci ed a quello di un ragazzo del luogo che frequenta il forum, grazie Fabicuca, arriviamo alla macchine a Marilleva 1400, semicongelati e distrutti.

Arrivato in albergo faccio la doccia più calda e più lunga della mia vita…


Alpine skills, 2 parte

Ho picchiato nel solito fuoripista la tavola soft, se soft si può dire un bx incazzato come il Torque. Eh d’altronde alla neve fresca non resisto, ma so bene che bisogna sempre andare a mille e mai frenare di brutto intraversandosi, perché è lì che peschi sotto la neve e se va male, c’è appunto un bel sasso ad aspettarti…

Lascio la tavola a riparare da Onside, ma per un lavoro ben fatto mi dicono giustamente che ci vuole tempo, per cui per la seconda parte del camp o prendo una tavola test, ma sono piccoline per i miei gusti, oppure mi restano – si fa per dire – l’hard Speedster Gts 166 e il Lancelot 172 swallowtail. Siccome è evidente che senza nuova neve fresca andare in giro con il coda di rondine sarebbe assurdo, e oltretutto se picchio quello mi sparo, dico vabbè faro due giorni con l’alpine.

Mi presento sabato in pista titubante, già ero fuori allenamento prima della “piccola avventura” in freeride, adesso so che con il rigido non si scherza, o subisci o ci dai dentro ad ogni curva.

Inizio col piede sbagliato, mi accorgo subito che il ginocchio dietro è un po’ introverso, e il passo non mi va, allora stringo un po’ verso i 48 cm e allargo dietro l’angolo al minimo possibile per la pur larga GTS, e ottengo un inedito 48/38… Vediamo.

Salgo col gruppo dei romani + Skunk, vedo da subito che la tavola va, eccome, sembra proprio che io abbia trovato finalmente il mio passo, parecchio trasversale, ma vedo che non ho nessuna difficoltà a inclinare a fondo, certo non arrivo ancora, purtroppo, a fare le curve sdraiato, ma non cerco nemmeno troppo di toccare per terra, ricordo gli insegnamenti via web di Scott Firestone su alpinecarving.com che il vero alpiner non si sporge a cercare il terreno ma dà angolazione alla tavola quasi allontanandosi da esso, ed è la velocità e la forza centrifuga che alla fine lo porta vicino alla neve.

La cosa più bella è che non trovo nessuna delle solitè difficoltà a tenere a livello di muscolatura, forse devo ringraziare il windsurf estivo, giriamo insieme e io e gli altri col soft agli stessi ritmi, certo quando loro si mettono a trikkeggiare s bordo pista io ne approfitto per una curva più larga e poi li aspetto; anche se hehehe sono tentato a provare un’uscitina in fresca a bordo pista e magari un saltino, sissignori con lo spadone hard; ma mi astengo per pudore. Intanto spero che i solchi puliti che lascio sulla pista lascino il segno anche fra questi trikkettari incalliti, hehehe.

Chiudo la giornata con il rigido con la contentezza di averlo usato per la prima volta come un mezzo perfettamente utilizzabile in pista in altrenativa al soft, e non come un esercizio da fare fin che si regge per poi passare al soft. La stanchezza però mi aggredisce la sera e la bella cena in compagnia mi vede quasi in coma, d’altronde l’età è quella che è….

La mattina dopo, l’ultima del camp, ci do dentro fino all’esaurimento per vedere se arrivo a “limarmi le orecchie sulla neve”, bè vedo che… o mi allungo le orecchie o ancora ne manca. Però ho la sorpresa di un ragazzo che mi si avvicina con un Silberpfeil bello lungo e mi dice che anche lui oggi ha mollato il soft e si è messo sull’arcano mezzo che un amico gli ha prestato, ne perliamo e facciamo tre giri assieme, alla fine lo vedo convinto e soddisfatto. Ma non sa quanto soddisfatto sono io nel vedere che finalmente qualcuno si accorge che anche il lato oscuro dello snowboard in pista merita eccome di essere vissuto!

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